La valutazione dello stato degli embrioni
Il rapporto ISTAT anche quest’anno ha confermato che l’Italia è un paese a fortissima denatalità con notevoli ripercussioni anche dal punto di vista socio-economico. Sul totale delle gravidanze del 2019 solo il 2% è legato a programmi di fecondazione assistita. Rallentare o addirittura ostacolare tale procedura, soprattutto nelle coppie in cui la donna ha più di 38/40 anni, porterebbe ad un ulteriore decremento delle nascite. Sicuramente l’attuale pandemia da COVID -19 può spaventare le coppie, ma oggi i centri di Medicina della Riproduzione hanno adottato diverse strategie (scheda di triage, test antigeni rapidi) in linea con quanto raccomandato dalle società scientifiche nazionali ed internazionali che rendono le procedure di fecondazione in vitro sicure. Sono anche rassicuranti i dati sulla trasmissione verticale della malattia (ossia dalla madre al feto), dai quali si evince che tale possibilità è estremamente rara. Un documento scientifico è stato recentemente redatto dalle principali società scientifiche sulla sicurezza della somministrazione del vaccino per il Covid-19 anche in gravidanza.
La diminuzione delle nascite è dovuta a diversi fattori: aumento dell’infertilità di coppia soprattutto da cause maschili così come all’aumento dell’età di concepimento della donna. Molteplici studi internazionali hanno evidenziato, infatti, che sia la fertilità naturale che il successo della fecondazione in vitro diminuiscono inesorabilmente con il progredire dell’età materna (dopo i 36/37 anni) a causa dell’aumento fisiologico delle anomalie cromosomiche degli ovociti e quindi degli embrioni che ne derivano; ciò si traduce in un mancato impianto a livello uterino o in aborto. Si capisce, pertanto, che, anche in epoca Covid -19, in donne con età superiore ai 40 anni il trattamento di fecondazione in vitro non sia differibile e debba essere considerato un trattamento in urgenza.
Si è scoperto che l’impianto embrionario è dovuto infatti al trasferimento di una blastocisti (embrione del 5°/6° giorno) euploide (normale numero di cromosomi) su un endometrio sincrono e recettivo. Molteplici studi internazionali evidenziano come non vi sia nessuna correlazione tra l’aspetto morfologico di un embrione e lo stato di salute genetico. Circa l’85% degli embrioni selezionati con criteri morfologici è destinato a non impiantarsi. La tecnica di diagnosi genetica preimpianto è quella tecnica che consente di analizzare l’assetto cromosomico dell’embrione. Essa può essere utilizzata come raccomandato dalla Società Europea della Riproduzione Umana soprattutto in quelle coppie in cui il rischio di alterazioni cromosomiche è maggiore: coppie con età materna avanzata (maggiore di 36/37 anni), con falliti tentativi alle spalle, con abortività ripetuta o con grave infertilità maschile. A questa tecnica di valutazione dell’embrione oggi si aggiungono anche test (Endometrial receptivity test) in grado di valutare lo stato di recettività dell’endometrio, che è il tessuto nel quale l’embrione sano si deve impiantare. Inoltre, soprattutto nei pazienti con poliabortività, è anche possibile scoprire l’anormale presenza di cellule dette NK (natural killer) in grado di aggredire l’embrione. Ai test di diagnosi molecolare endometriale si possono anche associare test di valutazione di una normale flora microbica uterina (Endometriome), anch’essa fattore indispensabile per un corretto impianto embrionario.